I CINQUE ESERCIZI: LA VIA DEI NUOVI TEMPI
I c.d. “cinque esercizi” (concentrazione, azione pura, equanimità, positività, spregiudicatezza) vennero compiutamente illustrate da Rudolf Steiner nel capitolo V di “La Scienza Occulta”, una delle Sue opere fondamentali. Tali esercizi vennero ulteriormente perfezionati da Massimo Scaligero che ne diede una sintetica descrizione nell’opuscolo “La Via dei Nuovi Tempi”. Relativamente all’esercizio di Concentrazione questo è quanto Scaligero scrive nel summenzionato opuscolo.
1 Concentrazione
Consiste nel riattivare le forze originarie della coscienza. mediante la convergenza volitiva del pensiero su un unico tema. Si rivolge il pensiero a un determinato oggetto, il più semplice possibile: si pone questo al centro dell’attenzione cosciente, richiamando altri pensieri che abbiano un nesso logico con esso. La semplicità dell’oggetto, o del tema, è richiesta dal senso pratico dell’esercizio che tende a potenziare, piuttosto che la coscienza dell‘oggetto, la forza-pensiero messa in atto mediante esso. L’esercizio conduce all’esperienza del potenziale sintetico del pensiero, indipendente dal significato dell’oggetto. È importante, per la riuscita di esso, l’illimitata attenzione, ossia l’evitare qualsiasi distrazione riguardo al tema che deve permanere al centro della coscienza almeno 5 minuti. In seguito, questo tempo può essere aumentato, allorché si noterà un beneficio generale della vita interiore e di quella corporea, in conseguenza dell’esercizio. È importante che questo sia compiuto senza sforzo cerebrale, ma solo per intensificato moto di pensiero.
LA CONCENTRAZIONE IN QUATTRO FASI
La tecnica di seguito descritta mi venne trasmessa da Scaligero stesso e veniva normalmente praticata durante le riunioni rituali del gruppo in cui fui accolto giovanissimo: tale gruppo era costituito da sette persone, cinque delle quali erano state, in gioventù, discepoli di Giovanni Colazza. Tutti i membri di tale gruppo sono morti, tranne me.
Ho iniziato a seguire tale tecnica da adolescente e non l’ho mai abbandonata: anche durante gli incontri privati con Massimo effettuavamo una Concentrazione comune con tali modalità.
Fase Uno (preparatoria): Rilasciamento-Silenzio
Il meditante assume la c.d. “posizione del Faraone”: seduto con la schiena dritta, le mani poggiate a piatto sulle ginocchia, il capo lievemente inclinato, gli occhi chiusi o semichiusi, la lingua appoggiata sulla parte superiore del palato. Il meditante inizia dunque a prendere coscienza del respiro, ovvero si limita a osservare, a prendere coscienza, del respiro, ovvero dell’aria che entra ed esce dalle narici. Quindi, iniziando dal capo, egli immagina che tutti i suoi muscoli siano rilassati e distesi. Il meditante immagina di sottrarre ogni forza dai suoi muscoli, dall’alto (capo) verso il basso, fino a giungere ai piedi. Per rafforzare tale processo egli può utilizzare l’immagine di un blocco di ghiaccio che posto su una stufa arroventata si scioglie in acqua. Quindi egli dice a se stesso: “tutti i miei muscoli sono distesi. Io sono completamente disteso, io sono calmo, disteso, profondamente in me. Tutto in me è calma, pace infinita. Io sono libero, sono calmo.” Il meditante percepirà in tal modo uno stato di profonda quiete corporea e animica e tale sensazione di quiete potrà essere ulteriormente rafforzata con alcune immagini plastiche e viventi:
calma, come in una tomba lontana, profonda, abbandonata;
calma, come sul fondo di un trasparente lago alpino;
calma, come in una notte siderea;
calma, come in una città addormentata e deserta in un caldo e assolato pomeriggio estivo.
Questa tecnica è descritta in “UR” vol. I 1927 nell’articolo a firma “ARVO” alias il duca Giovanni Colonna di Cesarò, discepolo diretto di Rudolf Steiner. Massimo suggeriva di ricorrere a questa fase preparatoria allo scopo di sgomberare la mente dalle impressioni, emozioni, sentimenti, etc. della giornata. Tale fase preparatoria diventa ASSOLUTAMENTE indispensabile nel caso di incontri rituali.
Fase Due: Concentrazione
Il meditante concentra tutta la propria attenzione su un oggetto piccolo e costruito dall’uomo come ad esempio, uno spillo, una matita, un bottone, un cucchiaio, etc. L’oggetto deve essere NON simultaneamente percepito ma ESCLUSIVAMENTE evocato. Esso deve rimanere al centro della coscienza del meditante per almeno 5 minuti. Si considerino tutte le proprietà, caratteristiche, etc. dell’oggetto evocato: il peso, le dimensioni, il colore, il materiale da cui è costituito, l’uso che ne viene fatto, etc. La funzione dell’esercizio è quello di consentire al meditante la ricostruzione del pensiero sintetico originario, attraverso le diverse rappresentazioni che si verificano nell’esercizio di concentrazione dell’oggetto. Ogni pensiero estraneo all’oggetto, ogni altra immagine che dovesse sorgere, deve essere con decisione allontanata, riprendendo ad effettuare la concentrazione sull’oggetto.
Fase Tre: Concentrazione Profonda
ll meditante consegue la sintesi finale dell’esercizio di concentrazione che gli starà davanti obbiettivamente. Si tratta, in realtà, di vedere davanti a sé un “quid” che simboleggia la Forza-Pensiero evocata dal meditante, cogliendo così e di conseguenza percependolo il Pensiero nell’atto precedente, pre-dialettico, al suo formarsi. Tale “quid”, tale “segno-simbolo” può essere utilmente rappresentato da un punto luminoso localizzato internamente, all’altezza della radice del naso, nel punto in cui le sopracciglia si avvicinano tra loro. A tale immagine va simultaneamente evocata la sensazione interiore di FERMEZZA. Quindi da tale punto luminoso si diparte una corrente luminosa che percorre la colonna vertebrale arrestandosi a livello del coccige: a tale immagine va accompagnata la sensazione interiore di SICUREZZA. Il meditante mantiene la contemplazione del segno-simbolo in uno stato di purità silenziosa: purità che simboleggia l’assoluta indipendenza dell’Io dall’anima.
Fase Quattro: Silenzio Mentale
La Forza-Pensiero viene contemplata dal meditante nella sua immobile unità. Egli percepisce il senso di verticalità di tale Forza-Pensiero e perciò egli percepirà anche il senso di verticalità dell’Io. L’Io del meditante, identificandosi con la Forza-Pensiero si identificherà con il proprio originario silenzio generando il silenzio mentale. Tale silenzio è un silenzio radicale, ove ogni cosa viene portata ad uno stato di assoluta quiete fino a quando il meditante sentirà risuonare in sé il silenzio originario dell’universo: oltre il discepolo sperimenterà quello che le antiche scuole zen definivano con il termine di “vuoto”.
ALCUNE NOTAZIONI
Da quando ho iniziato ad occuparmi degli altri (cioè da diversi anni) e non solo del mio personale sviluppo spirituale ho sempre insegnato a coloro che mi hanno scelto come loro orientatore a fare l’esercizio in questo modo. Ovviamente non ho certamente la pretesa di proporre una sorta di “esclusività” o di “ortodossia” di metodo: esistono indubbiamente altre modalità per effettuarla; suggerirei di valutare i risultati che tali modalità hanno prodotto. Questo modo di praticare la Concentrazione sortisce due risultati piuttosto immediati: 1) consente all’operatore di entrare REALMENTE in contatto con la propria organizzazione dell’Io e perciò con lo Spirito di cui molti parlano ma che pochi veramente sperimentano e di entrare direttamente in contatto con il mondo eterico.
2) Demolisce la dialettica e l’auto-compiacimento animale, perciò fa perdere la voglia di sprecare il proprio tempo in vuote ed inutili chiacchiere.
Le fasi tre e quattro da me esposte sono descritte da Massimo Scaligero in “Manuale Pratico della Meditazione” nei relativi paragrafi intitolati rispettivamente: “Concentrazione Profonda” e “Silenzio Mentale”.
Abbiamo già avuto modo di spiegare che sia Scaligero che Mimma Scabelloni (e ovviamente lo stesso Steiner) insistevano sull’importanza di eseguire TUTTI gli esercizi. Il motivo di ciò è ben sintetizzato dalla seguente affermazione di Mimma Scabelloni a margine di un incontro avvenuto pochi mesi prima della Sua morte terrena, occorsa nel novembre del 1990: “se il pensiero viene sviluppato a discapito del sentire, se si potenzia unicamente lo spirito e si lascia indietro l’anima si verranno a determinare delle pericolose unilateralità: fare soltanto concentrazione dimenticando gli altri esercizi è un gravissimo errore e sia Massimo che Colazza lo hanno spesso fatto presente. Bisogna inoltre ricordare che il Dottor Steiner nel capitolo V di “La Scienza Occulta” pone tutti gli esercizi sullo stesso piano di importanza”. Queste furono le parole pronunciate da Mimma. A tagliare la testa al toro, relativamente al fatto che i quattro esercizi di cui parleremo fra poco siano tutt’ altro che “esercizi accessori “come alcuni amici erroneamente ritengono ma che vadano viceversa considerati ” sine ullo dubio” come “esercizi fondamentali” assieme alla concentrazione, provvede Rudolf Steiner che nei quaderni della Scuola Esoterica indica le seguenti corrispondenze: concentrazione = liberazione del pensare, azione pura= liberazione del volere, equanimità = liberazione del sentire, positività = liberazione del giudizio, spregiudicatezza = liberazione della memoria. Appare chiaro anche ad un esoterista alle prime armi come il liberare il pensare SENZA liberare REALMENTE volere, sentire, giudizio e memoria equivalga ad un autentico suicidio spirituale! Daremo dunque alcuni consigli sul come effettuare al meglio tali esercizi basandoci sui suggerimenti a suo tempo ricevuti da Massimo e da Mimma: utilizzeremo, come per il precedente esercizio, l’opuscolo che Scaligero donava ai suoi discepoli “La Via dei Nuovi Tempi” come traccia indicando il nostro commento, per distinguerlo dal testo di Massimo, con il nostro nome iniziatico ovvero “Apis”
2 Azione Pura
È l’esercizio che dinamizza direttamente la volontà, attuando la ascesi dell’agire per l’agire. Consiste nell’imporre a sé stessi doveri quotidiani di poca nessuna importanza, per es. spostare una sedia, spolverare un mobile, predeterminandone il momento anche 24 ore prima. I moventi ordinari delle azioni scaturiscono per lo più dalle relazioni sociali, dall’educazione, dalla professione, ecc. raramente da iniziativa pura. Si deve trovare nella giornata un minimo di tempo, pochi secondi, per compiere azioni volute di propria iniziativa. In quanto insignificanti, esse conseguono un fine più profondo che le significanti: sollecitano direttamente il potenziale della volontà.
Apis. Fermo restando quanto Massimo afferma si può, tranquillamente, se gravati da numerosi impegni quotidiani, “programmare” l’esercizio di azione pura subito dopo aver compiuto l’esercizio di concentrazione. Esempio: se abitualmente io faccio concentrazione la sera (o la mattina) intorno ad una determinata ora posso ,dopo aver compiuto l’esercizio, ripromettermi che il giorno successivo, subito dopo aver effettuato la concentrazione, compirò un gesto inutile, ovvero di nessuna importanza come alzarmi, spostare in avanti la sedia e poi sedermi di nuovo, oppure aprire e chiudere il cinturino dell’orologio, slacciarmi e riallacciarmi una scarpa, etc. Ciò è più eseguibile rispetto al classico “spolverare un mobile alle ore 16” perchè se, per fare un esempio a noi vicino, alle 16 mi telefonerà un paziente in preda ad una crisi di panico io il mobile non potrò spolverarlo!
3 Equanimità
Consiste nel servirsi delle emozioni, per un intervento della volontà cosciente: questa, sia pure per attimi, sospende la reazione istintiva dovuta all’emozione. Si tratta di evitare all‘anima la continua oscillazione tra il tripudio e l’abbattimento. Chi crede che la propria spontaneità emotiva o il proprio sentimento artistico ne abbiano a soffrire, ignora la potenza interiore che consegue dal chiaro equilibrio del sentimento. Dapprima non è possibile evitare gli intensi stati d’animo, quando sopraggiungono, ma è possibile esercitarsi a sospenderne per attimi la travolgenza, ritrovando al centro se stessi: indi lasciarli esprimere secondo la loro necessità. Tale minimo controllo, con il tempo, conduce a una positiva autonomia rispetto ad essi: dà modo di assumere la loro forza senza esserne travolti. Si può dire di possedere l’equanimità, quando si giunge a sentire come propri i dolori e le gioie degli altri, e come di altri i propri dolori, le proprie gioie.
Apis. Come nel caso dei due successivi esercizi (positività, spregiudicatezza) la miglior maniera di compiere l’esercizio di equanimità è quella di eseguirlo quando le condizioni lo richiedano. Avviene un determinato evento e l’operatore si sforza di sospendere la propria reazione istintiva di rabbia, di dolore, di paura, etc. Possiamo però nella nostra “sessione quotidiana” degli esercizi, dopo aver effettuato i primi due, richiamare alla memoria un evento che ha destato in noi vivaci reazioni emotive. Guardiamo noi stessi e quell’evento, come se guardassimo un film, come se quell’episodio non ci riguardasse, realizzando che la parte profonda del nostro essere non ha in realtà nulla a che vedere con il nostro passato coinvolgimento emotivo.
4 Positività
Per mezzo di questa qualità si giunge a vedere il bello e il buono degli esseri e delle cose, in quanto si prescinde dagli aspetti negativi. Lo spirito di tale attitudine può essere lumeggiato da una leggenda persiana del Cristo: il Cristo vide un giorno un cane morto abbandonato per la via.
Egli si fermò a contemplarlo, i discepoli che erano con Lui, invece, si scostarono presi da ribrezzo. Ciò vedendo, il Cristo esclamò: Che bei denti aveva questo animale! Persino in quella carogna, Egli sapeva trovare il bello. Se, secondo tale spirito, si orienta l’anima, si scorgerà in ogni cosa, o essere, la qualità positiva, il meglio, proprio quando ciò riesce difficile. Tale attitudine esercita una potente azione formatrice sull’anima e sul corpo, in quanto il buono e il bello di un essere sono la sua realtà: con la quale la nostra realtà entra in un accordo di profondità.
Apis. In totale analogia a quanto abbiamo suggerito relativamente all’esercizio precedente anche in questo caso possiamo operare nel silenzio della nostra sessione quotidiana degli esercizi valutando un passato (o presente) episodio che ha avuto per noi una valenza negativa. Consideriamo però come da quell’episodio, apparentemente negativo, siano potute sorgere per noi esperienze importanti per la nostra crescita interiore e perciò come alla fine quell’evento apparentemente negativo si sia invece rivelato positivo per noi.
5 Spregiudicatezza
Proseguendo nella disciplina, il discepolo si educa a non fondare il proprio giudizio esclusivamente sul passato. Deve poter trascurare, in talune circostanze, ciò che ha acquisito con l’esperienza: aprirsi senza pregiudizi a nuove esperienze o ad un diverso giudizio riguardo a cose già interpretate. Egli si esercita a tale attitudine coscientemente. Se, per es., qualcuno gli dice che il campanile del Duomo veduto poc’anzi, si è spostato di 45°, non deve dire sùbito che ciò non è possibile: egli deve sempre sapersi riservare uno spiraglio aperto alla novità. Chi rimane ancorato a giudizi definitivi. immobilizza la propria anima. Non vi è giudizio umano che, rispetto all’evoluzione dell’uomo, possa considerarsi definitivo. Il cercatore deve poter essere ricettivo verso l’inaspettato: altrimenti si chiude alla verità, ossia a ciò che è oltre il limite dell’ordinario conoscere. Occorre rendersi indipendenti dai giudizi già formati, per poter accogliere l’ignoto. Grazie a tale attitudine, il corpo fisico e l’anima vengono trasportati a uno stato di superiore luminosità.
Apis. Dopo aver effettuato i precedenti quattro esercizi esaminiamo un’affermazione, una tesi, un’opinione con la quale non siamo concordi. Sospendiamo interiormente il giudizio ed apriamoci alla possibilità che magari siano le NOSTRE opinioni ad essere errate e che le persone che secondo noi sbagliano abbiano in realtà ragione. Per un attimo convinciamoci di ciò.
P.S. relativamente a quest’ultimo esercizio gli eventi della “pandemia da covid 19” e le solenni stupidaggini che ultimamente ho avuto modo di leggere in alcuni gruppi Facebook, siti, blog di aspirazione “antroposofica” mi hanno fornito una tale quantità di materiale che mi basterà per tutto il tempo che dovrò ancora trascorrere in questa valle di lacrime!
Conclusioni: quanto abbiamo descritto discende dalla NOSTRA esperienza di 45 anni di esercizi e da consigli che sono stati dati A NOI dai nostri Maestri: non abbiamo la minima pretesa di rendere universale questo nostro modo di eseguire gli esercizi e se altri sono giunti a conclusioni diverse dalle nostre non abbiamo nessuna velleità, interesse o voglia di convincerli! La Via della Scienza dello Spirito non è una via religiosa contrariamente a quanto credono alcuni “apostoli” affetti da psicosi mistica: non esistono “dogmi”, “ortodossie”, “esclusività”, né “ansie di conversione”. Esiste, viceversa, UNICAMENTE la libertà del singolo individuo nel suo cammino sul sentiero che conduce allo sviluppo dell’anima cosciente!